nov
12
2014
Il Pomod’oro – Interno
Pomo d’oro, ora rosso di vergogna, un tempo lasciasti le mani di Eris. Per te Afrodite vendette il cuore di Elena, e fu di Paride in dispetto a Menelao.
Ora hai il colore del sangue che ha bagnato la spiaggia di Troia, ma un tempo splendevi di luce come potrebbe un premio per un sondaggio su Facebook;
e Afrodite l’avrebbe certamente vinto, promettendo di far vedere le tette, ricevendo un miliardo di mi piace, mentre Era e Atena se la sarebbero presa in quel posto, anche perché la verità oggi sta dalla parte di chi ha più follower. Ecco perché Miss Italia è sempre la più brutta e perché tu puoi dirti d’oro: perché la pizza la mangiano tutti, mentre chi se la fila invece la biondissima mela cotogna, che avrebbe certamente più ragione di te nel decantarsi aurea? Detto questo non staremo certo qui a giudicare, ma non pensare di rimanere indenne oltre la fine di questo pasto, acidità di stomaco permettendo.
Il Pomod’oro – Tagliere salumi di Romagna
Se vi trovate a Cagliari e volete provare la cucina romagnola, non serve attraversare il mare, navigando verso il freddo Nord-Est. Incamminatevi invece verso l’alto, senza faticare più di tanto. Basta varcare, comodamente stando in città, la soglia del palazzo della Rinascente. Ad attendervi due ascensori. Ad attendervi, di nuovo, di su all’ultimo piano, un corpulento maggiordomo, che vi introdurrà in un ambiente dagli spazi aperti nel quale, vi stupirete, possono convivere, con apprezzabile organizzazione estetica, un ristorante orientale, un lunge bar, una toilette, un sistema di asciugatura mani comparabile alla turbina di un md-80 e, infine, un ristorante dal nome “Il Pomod’oro”.
Il Pomod’oro – Tavolozza di formaggi
Il “Pomod’oro” è un locale della catena “Fattoria Pomod’oro”, risultato di una sinergia imprenditoriale tra grandi aziende alimentari italiane (Saclà, Galvanina, Molino Spadoni) che, attraverso un modello di pizzeria/ristorante di qualità, promuovono e distribuiscono il loro prodotti. Anche l’arredamento è costruito su uno schema ben preciso. Spazi aperti, mobilia semplice ma ben curata, cucina e forno a vista, scaffali colmi di variopinti barattoli di sott’olio, a creare alte pareti divisorie; il tutto messo insieme per definire un’atmosfera indubbiamente gradevole e rilassante, a cavallo tra la trattoria casereccia e il glamour bar.
Il servizio è informale ma preciso ed attento, ed è tenuto da alcuni giovani camerieri, tra i quali ricordiamo una solare ragazza colombiana che ha avuto modo di interloquire e discorrere con – per l’occasione, manco a farlo apposta, molto curioso e loquace – l’Ingegner Marrocu, presente alla serata al pari degli altri Triumviri ufficiali: Jesus e il Raschione Ettore.
Il Pomod’oro – Galletto al mattone
Accomodati al tavolo prendiamo visione del menù, accorgendoci subito che i piatti proposti sono quelli di una cucina semplice e direi, casalinga, campagnola, con orientamento prettamente di terra. Quest’ultima caratteristica pareva non essere gradita ad un’avventrice prossima al nostro tavolo, che puntava i piedi e pretendeva dal proprio cavaliere – probabilmente conoscente di uno dei responsabili del ristorante – di portarla a mangiare del pesce. Beato a lui!
Dopo l’inaspettato exploit teatrale, potevamo meglio definire quella che sarebbe stata la nostra cena, individuando le pietanze a noi più gradite e il vino, ovviamente rosso: Sangiovese superiore “Scabi”, del 2012, azienda agricola “San Valentino”, Rimini.
Il Pomod’oro – Salsicce
Verdure grigliate
Diciamo subito che, per nostra colpa e esigenze alimentari contingenti (seguire la voglia di carne dell’Ing.Marrocu) nessuno di noi ha ordinato un primo piatto, e quindi non abbiamo potuto sperimentare i piatti più tradizionalmente emiliano/romagnoli. Questo non ci ha impedito di verificare però l’impronta generale della cucina che, se voleva essere casalinga, ha certamente raggiunto il suo scopo. Quello che abbiamo assaggiato infatti, non si discosta di molto dalla cucina semplice che ciascuno di noi può ritrovare a casa propria. Annotiamo inoltre, per dovere di cronaca, il push gratuito di prodotti delle aziende del consorzio, quali i sott’olio della Saclà. Il giudizio, su questi ultimi è: sono prodotti sott’olio, nulla di più nulla di meno.
Il Pomod’oro – Tagliata di manzo
Invero, riguardo gli antipasti realmente richiesti, abbiamo ordinato la degustazione di salumi “Mora romagnola”, con tagliere di prosciutto crudo, salame “gentile“, salame “Moro”, lardo e salsiccia passita. A seguire una “tavolozza” di formaggi misti emiliani: scoparolo, cacio di vino, parmigiano reggiano, accompagnati da miele e confettura di fichi caramellati; il tutto certamente ben presentato e costruito, ma non particolarmente ricercato, rispetto alle nostre abitudini e severe esigenze culinarie. Stesso discorso per i secondi piatti. Jesus ordinava un bis di salsicce: “non troppo pepata” e salsiccia speciale di “Mora romagnola” alla brace, decorate con aceto balsamico e accompagnate da verdure grigliate (pomodori, radicchio, melanzane, zucchine), bagnate da un filo di olio d’oliva. Il Raschione, optava per il galletto “al mattone” con patate arrosto e mattone scenograficamente portato a tavola, senza però restare pienamente soddisfatto per la resa dell’alimento a livello di gusto. Il piatto più buono della serata è stato probabilmente il secondo dell’ingegner Marrocu: tagliata di manzo al profumo di rosmarino, con decoro di pomodoro e radicchio.
Crema di zuppa inglese
Gelato alla vaniglia
Infine i dolci: gelato alla vaniglia per l’Ing.Marrocu, cheesecake alla crema di zuppa inglese per Ettore, serviti all’interno di barattoli di vetro tipici dei prodotti caserecci. Nulla per Jesus. La cena si concludeva quindi, senza amari, con un caffè d’orzo per l’Ing.Marrocu due caffè regolamentare per gli altri Burricchi.
Costo complessivo della cena, 42 euro cadauno, da giudicarsi un buon 20% superiori al giusto dovuto, in funzione di una cucina che nella sua genuinità non ha comunque particolarmente brillato e fornito spunti degni di nota. Da segnalare, infine, la mastodontica stazza del cuoco ai fornelli, in linea con l’idea di opulenza emiliano-romagnola.
Immerso in un ambientazione di stampo glamour/casareccio, sapientemente costruita con dettagli estetici eleganti e di buon gusto, il ristorante/pizzeria “Il Pomod’oro” offre una cucina di stampo romagnolo, comunque senza particolari note positive da segnalare. Due burricchi con menzioni speciale per l’ambientazione.
VALUTAZIONE “Il Pomod’oro”: Due Burricchi con menzione speciale. |
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Ristorante Il Pomod’oro |
Indirizzo: Via Roma 143, Cagliari
Telefono: 07060451 [mostra in google maps]
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5 commenti | tags: amari, antipasti, brace accompagnata, cacio, caffè, cheesecake, chef, commenti, conto, costo, crema, cucina, degustazione, degustazioni, dell, dessert, dolce, emilia, ettore, fichi caramellati, formaggi misti, foto, galletto, gelato, gentile, giudizi, griglia, il bicolore, indirizzo, jesus, lardo, manzo, mappa, marrocu, mattone, menù, miele, mora romagnola, moro, opinioni, orzo, parmiggiano reggiano, patate arrosto, prezzo, primi piatti, profumo, prosciutto crudo, qualità, quello bianco, Raschione, recensione, ristorante, rosmarino, salame, salsiccia non troppo pepata, salsiccia passita, salsisccia speciale, salumi, san giovese superiore 2012, sardegna, scabi, secondi, secondo, tagliata, tagliere, tavolozza, telefono, tra cui scoparolo, Valutazione, vaniglia, verdure, vino, zuppa inglese
lug
14
2013
Il Gatto – Interno
Superteleburriccone… miao! Sono io il gatto, il peloso batuffolo senza scrupoli, che vi piace accarezzare, che con scatto fulmineo vi offende il volto o le mani. Sono quello che sporca il vostro lindo salotto, che veloce vi attraversa la strada per cugurrarvi la giornata. Sono di certo io, quello che sentite cantare la notte con molesta ed impudica passione, che importuna il vostro sonno, che voi pensate di controllare ma dal quale siete e sarete dominati. Ho il mio fascino e non vi invidio, perché sono libero ben più di voi, perché mangio e mi sollazzo più di voi, perché faccio l’amore molto più di voi e, soprattutto, perché se non vi trovassi più oltre quell’uscio, mi sarebbe facile trovare qualcun altro!
Il Gatto – Insalata di polpo
Sabato sera. Preventivamente conoscendo la compagnia che di lì a poco avrebbe dovuto allietargli la serata, schematizzabile e sintetizzabile nella triade ortodossa del Donkey Challenge, il vostro amato Jesus si premurava, in sede organizzativa, di non dover dipendere dalle altrui feline voglie di libertà, sempre possibili nelle idee degli esuberanti burricchi; per cui disponeva, di concerto con i suoi colleghi, l’utilizzo di due vettori per raggiungere la loro destinazione. Il Raschione Ettore avrebbe dovuto far sosta davanti alla dimora dell’infermo Ing.Marrocu, mentre Jesus stesso avrebbe provveduto alla propria movimentazione, cavalcando come d’abitudine la tracotante 150cv. Il diverso approccio al parcheggio delle due cellule asinine, si sarebbe quindi concretizzato in 15 minuti di temporale differenza. Da una parte Jesus, che procedeva diretto verso una rapida sosta a pagamento, arrivava in perfetto orario, mentre il Raschione e l’ingegnere impiegavano circa mezz’ora nell’individuare un parcheggio low-cost (per poi accusarsi vicendevolmente di susunkaggine). Gustosamente narreremo tra breve, quali risvolti abbia avuto a fine serata quest’atto di parsimonia, e davanti a quale lussurioso anfratto siano riusciti a trovare accomodo.
Rucola e bottarga
Guazzetto
Il Gatto è uno dei storici e decennali ristoranti di Cagliari. La sua struttura ricorda molto, nell’atmosfera e nello stile, i locali tipici degli anni ’70, con alte pareti chiare, gradevole mobilia in arte povera, soffitto e arcate in muratura, qualche affresco e numerose bottiglie di vino investite dell’onere di sostenere il decoro di tutto l’ambiente, disegnato con piacevole e familiare gusto retrò. Gli spazi del ristorante si articolano in due sale trasversalmente contigue: la prima, nei pressi del vestibolo d’ingresso, più tranquilla, rilassante e aerata; la seconda, sebbene in maggior misura estesa, sensibilmente più rumorosa e frequentata. Dopo aver intuito che non avremmo voluto ordinare la pizza, ma che le nostre intenzione sarebbero state più bellicose, ben volentieri i camerieri hanno assecondato il nostro subitaneo desiderio di trasferire i nostri coperti nella prima sala, presso un tavolo di gran misura più ampio.
Il Gatto – Linguine all’aragosta
Il personale de “Il Gatto” è organicamente numeroso, attento, empatico e ben preparato. Oltre al maître di sala, che raccoglie ai tavoli le comande, assistono gli avventori due camerieri ed una giovane fanciulla. Inaspettatamente estesa e strutturata è la carta dei vini, che spazia da produzioni locali ad etichette internazionali, seppure dobbiamo rilevare che non tutte erano realmente disponibili nella cantina. Inoltre, fatto singolare, buona parte della proposta vinicola appariva interessare i vini rossi, a dispetto del menù (escluse le pizze) spiccatamente di mare. Ad ogni modo l’Ing.Marrocu, dopo varie ed incidentate riflessioni, sceglieva dal menù un Vermentino di Gallura DOCG “Capichera Vigna’ngena”, poi presentatosi di fatto (inesattezza della carta, segnalata al maître) un pur buon IGT “Capichera classico” del 2011. A fine serata, non volendo rinunciare ad un ulteriore bicchiere di vino, e non volendo tracannare l’ennesima bottiglia intera, i commensali optavano per una mezza ed obbligata porzione di un “Cala Reale” («…dei miei c.») DOC di Sella&Mosca, imposta al Raschione dalla scelta a maggioranza democratica di Jesus e dell’Ingegner Marrocu.
Il Gatto – Tagliatelle nero di seppia
Come nostra abitudine cerchiamo di indirizzare la serata su un menù esclusivamente di pesce, richiedendo innanzitutto un assaggio misto di antipasti. Non sono numerose, in questo senso, le pietanze che ci vengono proposte, né particolarmente sofisticate, ma il trittico di mare che arriva al nostro tavolo – giusto poco prima di terminare le buonissime olive in salamoia – è tutt’altro che marginale e consueto: ottima insalata di polpo («si scioglie in bocca!») con rucola e pomodorini; buona insalata di rucola con scaglie di bottarga, gustosissimo guazzetto di cozze e arselle, con giusto dosaggio di piccantezza e prezzemolo, accompagnato da un gudurioso crostino di pane abbrustolito.
Il Gatto – Spigola arrosto
L’apice della soddisfazione alimentare nella serata è arrivato di certo con i primi. A dispetto del malizioso scetticismo con cui Jesus e dell’Ing.Marrocu hanno richiesto le proprie linguine all’aragosta («ma sono all’aragosta o al sugo di aragosta???») il loro piatto e quello del Raschione Ettore – delle tagliatelle al nero di seppia con arselle e scampi -, sono risultati a dir poco eccellenti in termini di materie prime, equilibrio di sapori e dosaggio delle spezie: chapeau!
Spazio c’era ancora, quindi, per un secondo. Mentre i fumi dell’alcol e di un covato rancore verso i difetti della società sarda, per poco non conducevano l’ing. Marrocu a sconsiderati e gratuiti gesti di violenza («ora prendo la bottiglia e la spacco in testa al primo che capita… porca p.!!!») ci veniva presentato al tavolo il cesto del pescato di giornata, dal quale avremmo dovuto attingere gli elementi per la nostra grigliata.
Il Gatto – Crema catalana
Invero, l’equilibrio e il probo senso del giudizio dei burricchi determinava una cernita senza eccessi, tanto da richiedere (anche questa volta senza l’approvazione del Raschione) un’unica grande spigola arrosto da dividere in tre. Da segnalare che i minacciati non brevissimi tempi di presentazione della grigliata – per un presunto ingolfamento della cucina – sono stati sensibilmente ridotti da una paventata promessa di lauta mancia (poi concretizzatasi in termini di 15€ effettivi), a mo’ di palese corruzione, nei confronti della simpaticamente complice cameriera. La spigola arrosto, già eviscerata, pulita e servita con maestria da Jesus, è risultata piuttosto buona nel gusto e nel condimento, che probabilmente aveva come base un rivestimento di alloro, dato l’inconfondibile gusto trasferito alla carne del moronide.
Zuppa inglese
Millesfoglie
Anche i dolci ci hanno amabilmente soddisfatto: millesfoglie al cioccolato per il Raschione, zuppa inglese per Marrocu, crema catalana per Jesus, che non cedeva alla richiesta dell’Ingegnere di richiedere un’altra portata di suo gradimento, per poi poterne abusare! Il tutto era accompagnato da un buon moscato di Sicilia IGT “Ambar” delle cantine Florio, giusto per fare un dispetto – data la piega che avevano preso le nostre discussioni – alle produzioni indigene. Non avendoci soddisfatto il bouquet di liquori proposti, la cena si concludeva quindi con due caffè. Costo complessivo della serata 55€ cadauno, da giudicarsi un 15% superiori al giusto dovuto, ma comunque nel complesso sicuramente ben spesi.
Il Ristorante “Il Gatto” ci ha positivamente stupito. Come spesso è accaduto nelle recensione degli storici locali del cagliaritano, non ci avrebbe sconcertato trovare una cucina e un servizio non effettivamente al passo con i tempi e con le nuove linee della ristorazione nostrana. In realtà abbiamo qui trovato un servizio professionale ed attento, una cucina semplice ma di indubbia qualità, ed un ambiente familiare e rilassante. Qualche cavilloso appunto si potrebbe avanzare, invero, sul numero limitato di antipasti, sulla carta dei vini e sulla fornitura di liquori e amari. Comunque, l’esegesi complessiva, assegna a “Il Gatto” tre meritati burricchi.
P.S.: Nota finale, per la quale siamo in debito con i nostri lettori. Nella spasmodica ricerca di un parcheggio NO-Cost, il Raschione Ettore aveva alloggiato la sua utilitaria proprio di fronte ad un noto night club della città. Parcheggio reso poi indisponibile all’atto del recupero dell’autovettura, visto che il proprietario aveva sistemato la sua mercedes proprio di fronte. Le maldestre avances delle oriunde signorine e le insistenze dello stesso amministratore, nell’abbandonarsi al richiamo del locale, non hanno però intaccato la fortezza degli integerrimi burricchi. Siamo asini, non siamo gatti: se ne parla dopo il matrimonio!
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apr
20
2013
Sa Osa – Interno. Ing. Marrocu
E’ facile e difficile, allo stesso tempo, ricondurre razionalmente il pensiero a qualcosa di non circoscritto, non delimitato da solide geometrie e simbolicamente tracciato nell’immediatezza del segno o dell’allegoria. E’ difficile e facile, al tempo inverso, affermare una propria identità reale nel disordine dell’indefinito, nell’evanescenza dell’indeterminato, nell’olismo del complessivo, che accarezza la cinica prorompenza del nulla.
Adesso che la vedo qui, questa ‘osa, non mi è chiaro se mi sia più semplice scegliere la strada del trascendentale, tracciata dal buon Immanuel – che mai sono riuscito seriamente a dominare – o abbandonarmi alla ricchezza morale della Natura, così come suggerito da Google. Bene, ho deciso che prima mi preoccupo di questo dovere, poi eventualmente ci penso!
Sa Osa – Bruschette
Sa Osa – Pre antipasto
E’ già uno sforzo mentale, impegnarsi nel proprio diletto, conoscendo l’incombenza di un gravoso destino. Per questo le prime lodi di stasera vogliamo farle all’Ing.Marrocu che, nonostante gli impegni lavorativi e l’antelucano risveglio del giorno che sarebbe presto arrivato, ha scelto di non mancare al solenne appuntamento alimentare del fine settimana asinino. E auto-elogiamo pure tutti noi, i Burricchi del Donkey Challenge che, indefessamente da anni sostengono l’ebdomadario rito, nonostante la costante e istintuale certezza, che il giorno dopo si risveglieranno comunque Burricchi.
Sa Osa – Fritturina
Venerdì sera, ore 20.45. In leggero anticipo per venire incontro agli impegni dell’Ing.Marrocu, il Triumvirato in formazione tipo si riunisce causalmente e casualmente per le vie della “Marina”. Dopo brevi convenevoli di benvenuto, che si accordavano con il passo spedito dei burricchi senza mai comunque interromperlo, i tre giungevano rapidamente alla loro destinazione: l’”Hostaria Sa Osa”; è lo stesso locale che, per un colpevole difetto di programmazione da parte del Raschione, qualche settimana prima aveva loro risolutamente negato asilo. Prima di varcare la soglia del locale, gli intensi profumi dei focolari, sfuggenti il mosaico di angiporto dell’antica Lapola, pervadono i sensi di Jesus, che manifesta tutto il suo apprezzamento per i ritrovati colori della città. Lo stesso Ing.Marrocu sembra lasciarsi cogliere, per un istante, dall’euforico risvegliarsi di una primaverile umanità cittadina, tanto da consigliare al Burriccu una diversa e più intensa destinazione: Istanbul!
Sa Osa – Antipasti
L’hostaria “Sa Osa” è il ristorante che sostituisce la gestione del “Al Cavour”, collocato nell’omonima Via in quel del quartiere “Marina”. L’architetura e gli arredi del locale non hanno subito significative ricomposizioni con la nuova proprietà, motivo per il quale vi rimandiamo alla nostra recensione per maggiori dettagli sull’estetica generale. Registriamo e apprezziamo invero, un più accentuato buon gusto nella disposizione di decori e suppellettili in riferimento, ad esempio, al sobrio arazzo che potete notare dietro il malcelato capo dell’Ing.Marrocu, o al significativo e simbolico simulacro dedicato alla Dea Madre, su un davanzale della sala principale, dove ci siamo comodamente alloggiati. Ottima la scelta e la qualità della diffusione musicale in sala, anche se inizialmente ha procurato una richiesta di ridimensionamento dei decibel ambientalmente ingenerati.
Sa Osa – Tartare di tonno
Il tavolo a noi riservato era inizialmente diversamente collocato ma il cameriere che ci ha accolto, acutamente intuita una nostra possibile titubanza, ha provveduto subitamente a sistemarci in un migliore accomodo. In effetti il personale, numericamente adeguato, giovanile e alla mano, è risultato appropriatamente preparato ed efficiente, come più in generale – a parte qualche sbavatura che vedremo – lo è stato tutto il servizio. Perfetti, dobbiamo far notare, i tempi della cucina, che ha fatto registrare giusto un piccolo fisiologico rallentamento sul finire della cena, ma che ha gestito in maniera impeccabile i ritmi di presentazione delle differenti portate.
Sa Osa – Natalis di Araj ragù di polpo
Jesus, che per sua abitudine prende in considerazione il menù cartaceo allo stesso modo con cui un maschio medio legge un manuale di istruzioni qualunque, giudica inizialmente piuttosto ordinari i piatti. In realtà verrà presto parzialmente smentito.
Il Raschione concorda con il maître un percorso di antipasti di mare (presente anche un menù di terra), mentre l’Ing.Marrocu rivendica nuovamente un suo presunto ius primae vini, scegliendo dalla «molto ben fornita» cantina un bianco Greco di Tufo DOCG del 2011, “Loggia della Serra” di Montefusco, che verrà proposto ed approvato con la consueta inopportuna teatralizzazione: «E’ solo per perdere tempo, tanto l’esito dell’assaggio è scontato».
In attesa degli antipasti, ci viene presentato un ottimo pre-antipasto composto da pomodorino confit su vellutata di cavolfiore e olive disidratate; delizia questa, che pensiamo sarebbe stato più opportuno accompagnare ad uno spumante di benvenuto, piuttosto che presentare come primo coinvolgimento del Greco di Tufo.
Sa Osa – Linguine
Gli antipasti, ottimamente presentati in porzioni singole e su stoviglie pre-riscaldate, si articolavano in alcune pietanze di eccellente fattura, accostate ad altre di meno unanime approvazione: fritturina del golfo con verdure “pastellate”, piuttosto buona relativamente a calamari, gamberetti e verdure, da dimenticare considerato nello specifico il gusto dei latterini; polpo in crema di patate tiepida allo zafferano di San Gavino con ornamento di prezzemolo, di cui era molto buona la crema ma non altrettanto ben dosata la cottura del polpo (abbastanza gommoso); eccellente zuppetta di cozze in rosso, con salsa di pomodoro piccante; discutibile insalatina di ceci, gamberi, rucola e pomodori, che sulla carta sarebbero dovuti essere ciliegini, ma che per la loro eccessiva acidità si slegavano totalmente dal gusto complessivo ed erano in antitesi con la riduzione di aceto balsamico; tonno fritto in agrodolce (in carpione) con cipolle, che dubitiamo fossero di Tropea; buona tartare di tonno crudo con salsa citronette (olio sale e limone, senza pepe). Registriamo, relativamente agli antipasti, l’accompagnamento della cena con ottime bruschette all’olio e pane Civraxu mentre, nell’ottica della ricerca dell’eccellenza, consigliamo di sostituire più spesso le posate con l’alternarsi delle varie portate.
Sa Osa – Millefoglie
Nonostante l’altisonanza dei primi piatti e la loro apprezzabile presentazione, il nostro giudizio non può andare molto oltre la sufficienza: Natalis (mezze maniche) di “Araj” al ragù di polpo, con pomodorini ciliegia e olio allo scalogno per il Raschione e l’Ing.Marrocu; linguine de “Sa Osa” allo (verosimilmente) zafferano, con gamberi, asparagi selvatici e pomodori per Jesus.
In funzione di una insospettabile inappetenza dell’Ing.Marrocu e dell’abbondanza dei primi, i Burricchi sceglievano di passare direttamente al dolce: particolarissimo sorbetto al limone fresco (probabilmente spremuto sul momento, e per questo troppo acido) per Jesus, ottimo millesfoglie con crema di zuppa inglese e granella di cioccolato, per i due restanti Triumviri. Considerata la fornitura di liquori – non di primissimo livello se confrontata con quella dei vini -, la cena si concludeva con un “Cynar” e un caffè per Jesus, e una grappa alla vernaccia per il Raschione («è più buono il mio colluttorio»), vampirizzata dal ripensamento del Marrocu, che formalmente dichiarava di voler saltare il giro.
Conto finale di difficile interpretazione: la composizione delle pietanze comandate era in qualche modo riconducibile (ma eccedente) ai menu fissi da 25€, conteggiati quindi in numero di quattro anziché tre, tanto da cagionare una spesa finale di 33€ cadauno, prezzo di certo inferiore alla qualità di quanto assaggiato e al servizio di cui abbiamo goduto.
La nuova “Hostaria Sa Osa” è senza dubbio un ristorante dalla buona impostazione generale, che presenta le sue eccellenze nella qualità del servizio e – ad esclusione dei liquori – nella cantina. La cucina appare a tratti brillante, a volte meno convincente, mentre l’ambientazione e la proposta musicale disegnano per gli avventori un’atmosfera di certo piacevole e rilassante. Ottimi i margini di miglioramento; per ora, tre burricchi meno meno.
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lug
28
2012
Ippodromo – Esterno
Equidi, quadrupedi sulla pista; s’affrontano nella calca e nell’impeto della corsa, fianco contro fianco, ciascuno sentendo l’ansimare veloce dell’altro, ciascheduno bagnato dal sudore del vicino avversario, ognuno contro la propria fatica e i propri limiti, per trionfare su tutti, per eleggere il primato del proprio sangue, per glorificare la propria discendenza, per sentire ardere la fiamma della propria esistenza, divorata nel volgersi di una veloce passione, piuttosto che erosa dal lento e disonorevole oblìo della umana accidia.
Orsù, destatevi miei cari Burricchi! Assaporate lo spirito dei vostri fratelli purosangue, lottate nel delirio dell’arena, combattete senza timori e sentitevi vivi!
Ippodromo – Interno
Venerdì sera. Viva e rinata, quasi a prendere esempio dal suo padre Jesus, morto e risorto in quel di terra Santa qualche millennio orsono, la 150cv, sfreccia e scorrazza nuovamente per le strade del cagliaritano, coraggiosamente (accallonatamente) sfidando, nella calca del traffico urbano, le sue sorelle, quasi tutte imbrigliate nella limitatezza di una meccanica dozzinale.
Il secondo fantino Ettore, si irrigidisce, avverte il pericolo, e alla fine pontifica: «Burriccu, non spuntare in seconda, che ti fotti di nuovo la frizione!».
Di lì a poco, verso le ore 21, i due burricchi avrebbero raggiunto la loro destinazione: ristorante “L’ippodromo”, in Cagliari, sul lungomare Poetto.
Ippodromo – Carpaccio di salmone
Il Ristorante/Pizzeria, si trova negli spazi riservati al vecchio ippodromo di Cagliari che, dopo aver percorso una breve strada sterrata, si raggiunge lasciandosi sulla destra il maneggio degli equidi, per arrivare infine al comodo ed amplissimo parcheggio in fronte al locale stesso, gestito e organizzato, con discrezione, da un non più giovane parcheggiatore, che dà le indicazioni agli automobilisti in arrivo.
Arrivati naturalmente ben prima dell’Ingegner Marrocu, lontano dal correttamente interpretare qualsivoglia – pur semplice – indicazione stradale, Jesus e il Raschione hanno modo di apprezzare il non trascurabile numero di colleghi avventori che, nel frammezzo della loro attesa, avrebbero varcato la soglia del ristorante. Tale fattore condizionerà, vedremo, tutta la loro serata.
Ippodromo – Insalata di mare
Al suo interno il ristorante, seppure non particolarmente impegnativo in termini di raffinatezza ed eleganza ambientale, si presenta gradevole, curato e ben climatizzato. Gli spazi sono distribuiti su diversi ambienti, dominati da pareti color arancio, piante ornamentali, infissi e mobilia verde scuri, e una sovrastruttura ad archi, che dà l’idea di trovarsi all’interno di un giardino coperto.
Ben numeroso (adeguato all’elevato numero di clienti) , gentile e volenteroso il personale, in certi casi comunque distratto e dispersivo, in taluni professionale e attento. Nonostante la cosa potrebbe andare contro radicate consuetudini e aspetti di natura pratica, un consiglio che ci sentiamo di dare in queste condizioni, è quello di distribuire il carico di lavoro assegnando un unico cameriere a diversi tavoli, piuttosto che differenziare i vari compititi e destinare ai propri clienti un interlocutore sempre nuovo nelle varie fasi della cena; in caso differente, si rischiano fastidiose distrazioni e un pericoloso difetto di coordinamento.
Ippodromo – Tonno alla catalana
Quello che però ipotizziamo e riteniamo un grosso difetto de “L’Ippodromo”, almeno durante la stagione estiva, è il fatto che la cucina sia strutturalmente sottodimensionata, rispetto al numero gestito di coperti; altrimenti non si spiegherebbero i sesquipedali tempi d’attesa, manifestatisi in ogni fase della nostra ciccionata, che hanno condotto il solitamente composto Ing.Marrocu, a lamentarsi verbalmente con una incolpevole cameriera, finanche minacciando di non consumare i piatti già ordinati, per concludere velocemente il pasto.
Altro fattore negativo, che disegna il contesto di svolgimento della nostra cena
– sempre legato al numero di clienti – è il perenne brusio e la chiassosità della sala, alimentati da talune sguaiate e moleste avventrici, dall’ugola evidentemente ben allenata: «quale gaudio, quale gaiezza, di giovialitá son pregni i muri!»
Ippodromo – Zuppetta di cozze e arselle
Fatte queste doverose e non troppo lusinghiere premesse, possiamo invero rendicontare i nostri lettori sull’effettivo svolgersi della cena, che si è aperta con l’offerta di un buon prosecco di benvenuto, accompagnato dalle ottime olive marinate (consumate per intero nell’attesa degli antipasti) già presenti in tavola. Come di consueto ordiniamo dapprima un assaggio di antipasti di mare, valorizzati da una bottiglia di ottimo vermentino DOC Tuvaoes, delle cantine Cherchi, ahimè servito inspiegabilmente troppo caldo, e per il quale i Donkeys hanno fatto non poca fatica per ottenere, dopo un prolungato scorrere del tempo, adeguato e fresco riparo in un cestello del ghiaccio.
Gli antipasti, non abbondanti ma adeguati nell’ottica di una cena completa, erano costituiti da quattro differenti pietanze.
Ippodromo – Fregola
Trattavasi di: buona insalata di mare con polpo, seppie e gamberi, ottimo carpaccio di salmone su letto di pomodorini e lattuga, buon (ma qui il giudizio del Raschione si differenzia, in negativo, rispetto a quello dei commensali) tonno alla catalana con cipolle, pomodorini, su uguale letto di lattuga e rucola, per finire con una zuppa di cozze e arselle, parecchio saporite ma arrivate al tavolo eccessivamente fredde.
Per dovere di cronaca, segnaliamo che, tra l’aver ordinato gli antipasti e il loro effettivo usufrutto, sono passati all’incirca cinquanta minuti, e oltre.
Altrettanto gravoso è stato il tempo d’attesa, prima di riuscir d’addentare i primi piatti: buone (seppur con qualche difetto di cottura della pasta) linguine alla granseola e granchi (non ben identificati) per Jesus e l’Ing.Marrocu, pessima fregola di mare (in realtà di sole cozze e arselle) presentata al cospetto del Raschione: «la peggiore che abbia mai mangiato!» e criticata persino da un attento cameriere: «non ha un bell’aspetto, redarguirò il cuoco!»
Ippodromo – Linguine alla granseola
Nonostante spazio vi fosse per poter ingurgitare qualche altra pietanza – in particolar modo l’appetitosa aragasta osservata nel tavolo di una coppia al nostro fianco, per la quale fortunatamente il servizio è sembrato più rapido – dati i tempi d’attesa rapportabili alla filogenesi dei primati, i tre burricchi sceglievano di passare direttamente ai dolci, risultati questa volta impeccabili: semplice sorbetto al limone per Jesus, cassata siciliana dalla originale forma triangolare per il Raschione, zuppa inglese per l’Ingegner Marrocu. Quest’ultimo – vi segnaliamo – sul finire della cena, forse stimolato dai fumi alcolici del Tuvaoes ormai rinfrescato, forse infastidito dall’eccesso di attesa e dalla rumorosità della sala, si lasciava andare ad una serie interminabili di sproloqui non politically correct, su alcune discutibili peculiarità di pensiero dei sardi. Per chi fosse interessato, può visionare sul canale Twitter del Donkey Challenge: [http://seud.eu/?wgm]
Ippodromo – Zuppa inglese
Ippodromo – Cassata siciliana
Costo complessivo della cena, 44€ cadauno – comprensivi di due caffè e due dimenticabili grappe barricate finali -, da giudicarsi almeno un 25-30% superiore al giusto dovuto, in funzione di una serata determinata dagli intollerabili tempi d’attesa, che hanno inevitabilmente condizionano metabolismo ed evoluzione glicemica dei commensali, determinando conseguenti situazioni di non gradevolezza alimentare, come ad esempio la perdita d’appetito per sfinimento! Quello che possiamo banalmente consigliare ai gestori dell’Ippodromo, o di altri ristoranti con il medesimo problema nel periodo di maggior afflusso turistico, è quello di astenersi dall’accogliere più clienti, di quelli che in realtà si possano adeguatamente servire. Ovviamente, ben comprendiamo, questo può andare incontro a più stringenti esigenze di carattere economico, ma nella prospettiva della salvaguardia del proprio nome, è forse meglio guadagnare qualcosa di meno, piuttosto che compromettere, con spiacevoli situazioni di contorno, una cucina che è sembrata (a parte qualche eccezione) di discreto livello. Un burriccu!
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mar
29
2012
Kilometro zero – Interno
Con centouno, mille e oltre chilometri alle sue spalle il somaro, paziente e instancabile, incede per la sua strada, senza mai affrettarsi, né alcunché dietro di lui rimirare. Non indugia, non medita sulla rettitudine del suo passo o sulla virtù della destinazione che l’attende; solamente avanza, lento e mansueto, risoluto e vigile, fin su lungo il costone della montagna, con cura proseguendo sulle strette ceglie rocciose, con prudenza discendendo verso valli assolate, generosi frutteti, accesi paesaggi di mare, per poi ancora risalire polverosi e penitenti sentieri, infine raggiungendo l’inaccessibile vetta di una proba impercettibile volontà.
Kilometro zero – Antipasti misti
Seguendo il medesimo flemmatico avanzare, Il gruppo storico del Donkey Challenge, dopo anni di lento e inesorabile pellegrinaggio lungo le mulattiere e gli impervi sentieri del gusto – senza una stella polare che benignamente loro accompagnasse -, hanno infine raggiunto la vetta della centesima ciccionata, proseguendo poi senza indugio o tentennamento alcuno la loro strada, alla ricerca di nuove sfide e nuovi orizzonti da superare.
Passo dopo passo, chilometro dopo chilometro, eccoci nuovamente qui con voi, a discutere e narrarvi della ennesima, mirabolante culinaria avventura, così come fosse la prima volta, così come fossimo ancora al chilometro zero della nostra avventura!
Kilometro zero – Foglie di bottarga
Il Ristorante Kilometro Zero, è dunque la tappa, la destinazione di quest’oggi, il nuovo accogliente anfratto, che per qualche ora sarà il nostro confortevole rifugio.
Il locale è sito nella Via Grazia Deledda, a pochi passi dalla centralissima Piazza Repubblica, in Cagliari.
L’ambiente principale si estende, con architettura rigida ed essenziale, dalla vetrata di ingresso – che assume il ruolo di piccolo vestibolo -, fino al suggestivo bancone in fondo alla sala, virando poi lateralmente verso un nuovo corridoio, che alloggia qualche tavolo più appartato. Le tonalità e i decori sono caratterizzati dal ricercato contrasto tra il grigio color intonaco e il viola pallido, mentre le nicchie che spuntano in rilievo sulle pareti, accomodano numerose bottiglie di particolarissima provenienza e forniscono – di fatto -, tutta l’illuminazione necessaria, tanto da rendere pleonastici i lampadari argento pallido, che piovono dal soffitto. L’ambientazione è perciò moderna e ben curata, senza invero raggiunge un elevato grado di gusto e raffinatezza superiore.
Kilometro zero – Fagottino di verza
L’accoglienza, da parte del giovane proprietario del locale, è calorosa e cordiale, anche perché, come non di rado capita (carramba che sorpresa!), scopriamo essere un vecchio compagno di scuola dell’Ing.Marrocu.
A questo punto il giusto sottofondo di correttezza e obiettività della valutazione ne risulterebbe compromesso, se non fosse per il fatto che il personale si presentava amichevole e conviviale con ciascheduno degli avventori presenti, quasi sottintendendo la consuetudine di ospitare una clientela fidelizzata ed assidua, a dispetto della recentissima apertura.
Ad ogni buon conto, l’impressione che si ha, scambiando le prime misurate parole con il titolare Diego, è quella di avere di fronte una persona freneticamente attenta, che svolge il proprio lavoro con passione e dedizione sincera.
Kilometro zero – Carbonata di mare
Il servizio in sala è inoltre garantito da un elegante giovinetto dal look rasta, una gentilissima cameriera dell’Est europeo oltre che, sul finire della serata, dalle baluginanti incursioni di un cuoco dalla stazza considerevole.
Il menù di Kilometro Zero viene giornalmente rivisto per accondiscendere alle bizzarrie di «quei pazzi della cucina!», ma può essere comunque declinato in convenzionali antipasti di terra e di mare, tre/quattro primi del giorno e vari secondi di pesce o di carne. Procediamo quindi con il nostro consueto protocollo: assaggio di antipasti misti, due assaggi di primo (che in realtà saranno due piatti abbondanti), un eventuale secondo più i dessert.
Kilometro zero – Tagliatelle moscardini e cozze
Nella cernita del vino, accogliamo il consiglio di sperimentare etichette non propriamente convenzionali, nell’ottica della tradizione gastronomica sarda, ma attinte dal pur vasto bacino enologico nazionale: si inizia con un buon Müller Thurgau Weindorf dell’Alto Adige, per poi proseguire con un ottimo e semanticamente inquietante Falerio dei colli ascolani, Oris Ciù Ciù, derivato da uve di Trebbiano, unitamente a vitigni autoctoni “Pecorino” e “Passerina”. Ogni ulteriore commento risulta superfluo.
Gli antipasti misti si articolavano in nove pietanze, di semplice fattura ma di più che meritevole preparazione. Ricordiamo quindi: capponata di melanzane e peperoni, seppiette in umido con piselli, insalata di farro con vellutata di basilico, insalata di ceci con pomodoro, rucola e aceto balsamico, polpettine di manzo in umido, seppiette arrosto con sedano e pomodori, polpo all’algherese, petali di bottarga su letto di sedano, fagottino di verza con ripieno di purea di patate, prosciutto e formaggio.
Kilometro zero – Zuppa inglese
Kilometro zero – Torta della nonna
Per quanto riguarda i primi piatti, ottima – anche se forse con un pelo di sale in eccesso – la “carbonara di mare”; ricetta che prevedeva cernia affumicata in luogo della più proverbiale pancetta, e piuttosto buone anche le taglietelle, condite con sugo di moscardini e cozze, risultate giustamente e dosatamente piccanti.
A questo punto, la serata, nonostante la pienezza cagionata dalle abbondanti prelibatezze sino ad allora ingurgitate, poteva procedere con la richiesta di secondi piatti non particolarmente impegnativi.
Kilometro zero – Ciù ciù
La scelta è quindi ricaduta su un’ottima orata di mare arrosto, e su una “bistecca” di cernia in padella, condivisa, in termini di singola porzione, dal Raschione Ettore e dall’Ing.Marrocu.
Di tali pietanze non possiamo, ahimè, fornire alcuna riproduzione fotografica, a seguito di un difetto di sobrietà da parte di Jesus, accompagnato da un’insanabile eccedenza d’appetito, scaturiti nella più banale negligenza in merito al consueto immortalare
– prima di procedere con la rituale razzia -, qualsiasi leccornia servita in tavola.
Da questa sciagurata vicissitudine, restano salvi però i buonissimi dessert: una zuppa inglese per l’Ing. Marrocu, torta della nonna con pinoli e crema di limone per il Raschione, sorbetto al limone per Jesus. Quest’ultimo, arrivato solo successivamente al tavolo dei Burricchi, unica perdonabile disattenzione da parte del pur attento personale, durante la serata. Conclusione con un esclusivo liquore alla liquirizia per Marrocu. Prezzo della cena, 30€ cadauno, da ritenere pressoché promozionale e ben al di sotto dei reali valori prodotti.
Il Ristorante Kilometro Zero, che porta nel nome l’ideale filosofia del biologico (aspetto che non abbiamo avuto modo di approfondire), si presenta come un locale elegante ed accogliente, ritrovo ideale per cene romantiche o formali e conviviali conventicole.
Seppure la cucina non elargisca particolari e ricercate eccellenze, le pietanze proposte si distinguono per ingredienti genuini e per un’ottima qualità generale, mentre il servizio risulta di assoluto livello. Tre burricchi meno meno.
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